Guardatemi!

  “Hai presente la favola del brutto anatroccolo?  Mi piace perchè insegna che essere diversi è in realtà un dono. C’è però una scomoda fase da attraversare prima di capirlo: la fase in cui ci si sente sbagliati e incompresi. Ci si sente soli.” 13 anni, terza media. All’impatto col suolo, la cartellina piena di disegni si spalancò come calcolato. Era da poco iniziato l’intervallo e la parte più coraggiosa di me mi aveva dato una bella spinta, mentre fingevo di inciampare in mezzo al corridoio. Una ventina di fogli colorati si sparpagliarono ovunque e per un brevissimo momento la mia anima giacque in bella vista, esposta sul pavimento. Conoscevo il pericolo di affacciarmi oltre la soglia sicura del mio anonimato: qualche secondo là fuori è più che sufficiente per ricevere una pugnalata. Tuttavia desideravo fare un tentativo. Desideravo incontrare, almeno per un istante, quel mondo di cui non mi sentivo parte, nella speranza di essermi sbagliata. Dentro di me due emozioni contrastanti cominciarono a prendersi a pugni: da un lato c’era il terrore di venir derisa, dall’altro, la speranza di essere riconosciuta gridava: «Guardatemi!».  Vigile come un condannato sotto il filo della ghigliottina: tutti i miei sensi erano attivati.  Mi chinai come niente fosse, seguendo il copione. Più il mio cuore accelerava e più il tempo rallentava: quasi si fermò. Mentre i fogli ancora ingombravano il passaggio, seguii le gambe depilate delle ragazzine in minigonna, costrette a modificare il loro percorso. Poi le loro risatine indisturbate, rivolte ai bulli oltre l’uscita, mi spiegarono che deviare la loro traiettoria non bastò a deviare il loro focus.  Dalla mia posizione abbassata origliai i commenti post interrogazione di chi amava competere per i voti più alti. Assistetti al rituale scambio di insulti tra alcuni compagni di quartiere e ascoltai i discorsi adolescenziali sull’ultima puntata di qualche serie che non conoscevo. Nient’altro. Niente che mi appartenesse. Appena sopra la mia testa, le solite conversazioni banali, delle solite persone annoiate, scorrevano inalterate e violente come un fiume in piena che non fui capace di arginare, nemmeno per un istante.  Ben pochi guardarono e, come sempre, nessuno mi vide. Le mie mani tremavano mentre affannosamente raccoglievo ciò che prima d’ora non avevo mai mostrato a nessuno. Chissà cosa mi aspettavo? Che qualcuno per caso posasse gli occhi sui miei scarabocchi? Che fosse in grado di leggere la marea di emozioni che ci avevo riversato dentro? Che si accorgesse della mia profondità e, apprezzandomi per questo, mi regalasse un sorriso?  Sarebbe stato bellissimo. Ne avrei dedotto che non ero poi così sola come credevo. Ne avrei dedotto che al mondo esistono altri esseri sensibili e che non li avevo mai incontrati soltanto perché, come me, si nascondono. Dopo aver lanciato il mio patetico s.o.s, mossa dall’istinto a ricercare i miei simili, osservai l’indifferenza della gente che vive in superficie. Ancora inginocchiata a terra sigillai l’elastico della cartellina. Le mie speranze morirono su quel pavimento, calpestate da una folla di scarpe alla moda, mosse da nient’altro che la ricerca di un pettegolezzo o di un panino.  Questa che hai letto qui sopra è una descrizione di come mi sentivo durante tutta la mia adolescenza.  Spiacente, niente rose e fiori: un’altissima sensibilità accoppiata con una bassissima autostima mi facevano contemporaneamente desiderare l’approvazione altrui e temere qualsiasi interazione con il prossimo come fosse un pericolo mortale!  Volendo riassumere, era un bel casino. Se una parte di te sente in qualche modo un po’ di familiarità con questa mia storia, è probabile che la sensibilità sia una qualità che dà qualche grattacapo anche a te. Quindi, se ti può interessare, ti dirò cosa ho scoperto a riguardo con il passare degli anni. Punto primo: essere una persona altamente sensibile può sicuramente mettere davanti a delle sfide. Tutto è sempre amplificato, nel bene come nel male: è molto facile sentirsi incompresi e quando l’autostima traballa, ahimè, l’emozione prevalente diventa la paura, o almeno per me è stato così.  Tuttavia, il vero problema sorge quando rifiutiamo questa nostra qualità e di conseguenza tentiamo di tenerla nascosta come fosse qualcosa di cui vergognarsi. Come probabilmente sai, sono tutta a favore dell’espressione e dell’accettazione amorevole di ogni parte di noi 🙂 (e dopo aver letto questo post hai un motivo in più per capire come mai!). Non accettare la propria sensibilità significa vivere costantemente in protezione. Significa cercare con tutte le forze di apparire forti, invulnerabili, a volte aggressive, proprio per scoraggiare un’ipotetica aggressione altrui.  Ma che fatica è? Ne vale davvero la pena? E soprattutto, è più pericolosa questa ipotetica aggressione che stiamo rischiando, o l’enorme dispendio di energie che dobbiamo sostenere per mostrarci come qualcosa che in realtà non siamo?  Senza contare che, negare al prossimo di assaporare la nostra energia ci precluderà dall’attrarre proprio quelle persone che con noi potrebbero entrare in empatia ed apprezzarci, proprio perché simili a noi! E qui viene il punto secondo: se hai l’impressione di essere sola e che nessuno ti capisca, ti sbagli di grosso! Per me questa è stata una grandissima scoperta, che da un certo punto in poi mi ha sorpreso, nello stesso modo in cui un bambino si sbalordisce quando riesce a far stare in piedi la bici anche senza le rotelle! Pian pianino eh, non tutto in una volta, ma man mano che dentro di me facevo pace con questa mia grande vulnerabilità e mi permettevo di mostrarla al mondo, hanno cominciato ad arrivare persone che mi capivano perfettamente e pure mi apprezzavano, proprio per come le facevo sentire a loro volta viste e comprese.  Col tempo ho scoperto che sono davvero tantissime le persone a me affini: non c’è carenza di profondità e empatia a questo mondo, tutt’altro! Anzi, ho la netta impressione che queste siano qualità in rapido aumento nel passaggio di generazione in generazione. 

Sempre più psicologi ed educatori cominciano a promuovere sistemi educativi orientati più alla connessione che alla disciplina. Di conseguenza anche i genitori e gli insegnanti stanno cominciando a prendere consapevolezza e a volgere il loro impegno in questa direzione.

Insomma, lentamente, stanno migliorando le condizioni sociali di sottofondo e sta crescendo il rispetto per la sensibilità e l’unicità di ciascun individuo: evviva!