Leggendario. Epico. Amore.

 

CAPITOLO I

C’era una volta una spavalda principessa che viveva con le sue ancelle segregata in un castello inespugnabile.  Ambedue i genitori deceduti in viaggio, avevano dato ordini, prima di partire, di proibire alla figlia qualsiasi contatto con l’esterno finché loro non fossero tornati, o in caso contrario, finché lei non fosse stata pronta a portare la corona di regnante. Protetto da secolari mura corazzate, il castello sorgeva nel bel mezzo della Foresta Oscura e la spavalda principessa non desiderava altro che uscire ad esplorarla.  «La foresta è popolata da orchi bruni e lupi mannari, guai a mettervi piede!» la istruivano le  ancelle.  «Non mi spaventano codeste creature! So tirar di spada e sono un asso della mira quando ho in mano un arco!» ribatteva lei. Ben sapendo, la nostra beniamina, che le fate e gli elfi e gli gnomi, da cui era molto affascinata, anch’essi popolavano la foresta e avrebbe tanto voluto incontrarli per farsi tramandare le loro arti magiche.  Sapeva, soprattutto, che per lei non vi era pericolo alcuno, perché con la loro magia l’avrebbero certamente protetta in virtù del suo sangue blu e del patto millenario che vi è fra nobiltà ed esseri soprannaturali. Ma, un bel giorno, allo scadere del suo sedicesimo compleanno, l’ancella più anziana la prese da parte poiché il momento era giunto di rivelarle la verità. Scoprì in quel momento nefasto che non era nata dal re e dalla regina, bensì fu trovata in fasce davanti al ponte levatoio ad est.  Dal momento che i due regnanti non riuscivano ad avere figli propri, la faccenda dell’adozione fu tenuta sotto grandissimo segreto e fu fatto credere che fosse lei la legittima principessa, erede di tutto il regno. La mattina seguente, ancora sconquassata in seguito alla mesta rivelazione la principessa si svegliò scossa ancor più vivamente da qualcosa di assai più tragico. Il suo letto tremava violentemente ed allo stesso modo vibravano i muri ed oscillavano i lampadari. Le vetrate e gli specchi presero ad infrangersi e nel giro di pochi minuti l’unico vero regnante divenne il caos. La gente correva urlando invano, in ogni direzione, in cerca di una via di fuga che non esisteva. Crolló il tetto, proprio nella stanza dove col moccio al naso ed i capelli scarmigliati la nostra principessa non si sentiva più così tanto spavalda.  Ed ecco che, con sua grande sorpresa, dallo squarcio sopra alla sua testa vide entrare un drago giallo squamiforme incoronato dai primi raggi del sole nascente. Poi il colosso alato si diresse verso di lei e la ghermí con gli artigli ricurvi. Ella ebbe il piacere di sorprendersi per l’inaspettata delicatezza con cui era stata catturata dal drago, che poi decollò, cercando di sgualcirla il meno possibile.  Se la portò via, salvandola dal terremoto mentre lei, comunque ingrata, starnazzava in preda al terrore. Erano stati forse i suoi genitori adottivi ad aver preso accordi col bestione, nell’evenienza che un pericolo si abbattesse sul castello? O era stata l’ancella a mentirle e la magica creatura si era fiondata in suo soccorso in virtù del suo sangue effettivamente blu?  L’unica cosa certa fu che ad un certo punto il signor Leggendario. Epico. Drago. atterrò in un punto indefinito, non troppo lontano dal castello, ma abbastanza lontano da cose che possono crollare.  Sganció la princi, girò i tacchi e ripartì per chissà dove. Missione compiuta: arrivederci. La nostra eroina si guardò intorno smarrita. Il vento sibilava attraversando un fogliame così fitto da oscurare la luce del giorno. O forse che fossero i lupi mannari ad emettere quei suoni terrificanti? Si chiedeva la ragazza, sentendosi piuttosto impreparata, oltre che imbarazzata, siccome il tempo per vestirsi, quella mattina, non c’era proprio stato! Tuttavia, così fu, signori e signore, che la (quasi) spavalda principessa si ritrovò di punto in bianco, senza una spada e senza un arco, in mutande, nel bel mezzo della foresta Oscura.

CAPITOLO II

Casa sua aveva marcatamente il suo odore e altrettanto marcatamente il suo odore mi piaceva. Quella fu la prima cosa che assimilai attraversando la soglia della porta che era stata lasciata aperta. Era il 22 agosto del 2020, ore 18.35. Non era la mia prima volta lì, ma erano passate due settimane da quando ci eravamo salutati prima della sua vacanza. La nostra relazione a quel punto era appena all’inizio e quindici giorni senza vederci erano bastati per renderci impacciati come due rospi in gita ad un safari.  A causa dell’iniziale disagio quel sabato ero più attenta. Inconsapevolmente, mi guardavo intorno registrando ogni particolare, nel tentativo di prepararmi per reagire a non so nemmeno io bene che cosa. Era un pomeriggio soleggiato e faceva molto caldo.  Elio indossava una maglietta gialla con su stampato lo stemma di un drago in volo. Tutto intorno al drago si susseguivano in cerchio una serie di scritte troppo piccole per essere lette senza avvicinarsi, mentre sul retro della maglietta, incolonnate e puntate, figuravano tre parole in corsivo facilmente leggibili: Leggendario. Epico. Drago.  «Che strana dicitura.» pensai. Chissà a che cosa si riferiva? Mi venne la curiosità di chiedergli da dove venisse la maglietta, ma ero ancora troppo impegnata a capire come mi sentivo e a calcolare come muovermi. «Se parlo e poi mi trema la voce che facciamo? Non esiste!» Come al solito annaspavo nella paranoia di sbagliare qualcosa o di sembrare strana, quindi alla fine decisi di non spostarmi dalla mia comfort zone cioè il silenzio e l’osservazione. Comunque dopo i primi secondi di imbarazzati convenevoli lui venne verso di me e mi appoggiò le mani sui fianchi. Accarezzai i peli sul suo braccio. A contatto con il suo petto caldo per un momento scomparve il disagio. Ci baciammo per troppo poco tempo. Dio che sensazione ineguagliabile!  Avrei  voluto baciarlo ancora e ancora e poi fare l’amore per due settimane di fila per recuperare tutto il tempo in cui, sebbene non volessi ammetterlo, mi era mancato. Lui però, purtroppo, non era del mio stesso avviso. «Come stai» chiese lui (domanda di circostanza).  «Bene e tu?» (risposta di circostanza). «Uff sono stanco, è andato un po’ tutto storto.» E poi questo e poi quello, eccetera, eccetera… Non capivo bene cosa mi stesse dicendo: ero distratta. Trattenni solo le informazioni indispensabili a sostenere un’eventuale conversazione superficiale.  A quanto pareva il viaggio non era stato piacevole, il traffico ed i compagni di viaggio erano stati stressanti e c’era pure stato un litigio verso la fine. Per i dettagli prego rivolgersi al diretto interessato, non a me.  Io galleggiavo. Sospesa e sorpresa dalla marea di stimoli che stavano allagando il mio cervello ed i miei sensi, senza preavviso.  Lo guardavo attentamente. Era sempre stato così bello? Parecchie goccioline di sudore brillavano sulla sua fronte ed il retro bagnato della sua maglietta stuzzicava la mia immaginazione con il ricordo del corpo meraviglioso che vi si nascondeva sotto.  Maledizione come gli stava bene quella maglietta!  Pensai che il giallo gli donasse parecchio, sebbene questo fosse in contraddizione con le regole che avevo studiato sull’ “abbinare – i – giusti – colori – all’ – incarnato – per – ottenere – fotografie – che – valorizzino – il – soggetto”. In teoria, la sua pelle sufficientemente pallida da soddisfare le mie preferenze per il fenotipo nordico, non si confaceva ad un abbigliamento color canarino sbiadito. Eppure…   Persi qualche secondo a valutare senza successo se quel giorno qualsiasi colore gli avrebbe donato parecchio o se ci fosse un errore da notificare nelle regole sull’incarnato.  Ad ogni modo ero spaesata. Per qualche motivo si era ingigantito tutto. Ogni suono, ogni gesto, soprattutto ogni sguardo arrivava amplificato e mi sentivo come se mi fossi fatta di anfetamine anche se non le ho mai provate e non so bene che cosa significhi. Non mi aspettavo affatto che rivederlo mi avrebbe mandata così brutalmente in palla e nel tentativo di trovare un modo per ripigliarmi, osservavo… L’ambiente intorno a noi, un pò trasandato, un po’ incasinato e un po’ “perché dovrebbe importarmi?” incorniciava un uomo semplice, pratico, tutto di contenuto e niente apparenza. Un personaggio del tipo “what you see is what you get” il che, diciamocela tutta, è molto rassicurante. Tra noi e l’ambiente circostante si frapponeva poi la solita scomoda percezione di me e dei miei confini traballanti. Avrei voluto possedere (specialmente quel giorno) di un qualche tipo di interfaccia dietro cui nascondermi: non so, idealmente una personalità definita e sicura di sé avrebbe fatto molto comodo, magari con una pratica modalità pilota automatico che sapesse cosa dire e cosa fare seguendo qualche tipo di schema preimpostato. Ma, niente da fare. Annoterò il credito di karma accumulato a questo giro e farò richiesta per la prossima vita! Comunque sia, anche se mi sentivo scomoda e a disagio con me stessa, una parte di me riusciva ad accasarsi osservando il mio ometto muoversi nello spazio; guardandolo gesticolare. Il suo modo di fare ormai aveva acquisito un che di famigliare, che mi aggradava ritrovare.  Allo stesso modo conoscevo la sovrabbondanza di “Non so come dire…” e le pause tentennanti che infilava tra una frase e l’altra facendomi involontariamente sentire meno colpevole per mie insicurezze. In questo caso c’era stata una lunga pausa tra un premuroso: “Mi dispiace di non essere troppo in forma.” e un rassicurante: “Ma vedrai che adesso mi riprendo.” Come se la cosa avesse qualche importanza. La sua voce, quel giorno, suonava dolce e promettente, ma ancora in parte sconosciuta, come i suoi pensieri, come il suo mondo segreto, incomprensibile e un po’ sinistro se vogliamo. Quel mondo che per qualche motivo mi affascinava così tanto scoprire e sovvertire. Sognavo di avere il potere di sconvolgerlo, di conquistarlo con la mia rivoluzione e di diventarne l’unica indiscutibile nonché indispensabile regina!  Per quanto ancora molto lontano dalla realtà potesse sembrarmi questo sogno, mi apparve evidente che era proprio questo ciò che volevo.  Confusa e disorientata come tendo ad essere, almeno su una cosa avevo finalmente delle certezze. Il contenuto di quel che lui stava dicendo, al contrario, per il momento mi era tutt’altro che chiaro. Era un po’ come ascoltare un disco piacevolmente orecchiabile, ma cantato in cinese mandarino. Mi arrivavano, in quel momento, così tanti imput da smistare, che il mio cervello a corto di RAM era costretto a tralasciare quelli meno interessanti e la semantica ne fu la prima vittima. Ad ogni modo, mentre lui mi faceva il favore di continuare a parlare senza interpellarmi ci sedemmo sul divanetto mezzo sfondato del soggiorno. «Vuoi una tazza di te?» ed ecco subito i cavalli partire al gran galoppo.  Aiuto, stai calma! Ti ha solo chiesto se vuoi una tazza di tè! «N-no grazie. Anzi sì!» cambiai immediatamente idea: un tè da sorseggiare mi avrebbe forse dato un minimo di contegno e soprattutto mi avrebbe dato qualcosa su cui appoggiare gli occhi per non incrociare i suoi!  Io Io cercavo il suo sguardo in realtà, ne avevo sete e avrei voluto tuffarmici dentro come un’esploratrice impavida, ma appena si avvicinava al mio non mi sentivo più così spavalda e scappavo con la coda tra le gambe, come se bastasse guardarmi per capire che in me non c’era nemmeno l’ombra di una regina.  «Lo vuoi o non lo vuoi?» sorrise prendendomi un po’ in giro.  Tragedia. Non lo avesse mai fatto! Intendo, sorridere così, a tradimento! Ah, vedi che succede ad abbassare la guardia! Un minuto prima eri tutto così cupo e arrabbiato e invece adesso… Adesso ero seriamente nei guai!  Presi atto di aver completamente perso il controllo quando mi resi conto che il tasso di umidità nei miei occhi andava pericolosamente aumentando.  «Sì sì mettilo su!» risposi precipitosamente e mi catapultai in bagno sperando di non essere stata notata.  Che cavolo mi stava capitando?! Mi sciacquai più volte la faccia con l’acqua fredda e poi mi guardai allo specchio. Avevo una faccia tra il preoccupato, il sorpreso e il terrorizzato, manco mi fossi appena persa in una foresta popolata da lupi mannari!  Gesù! E adesso come mi comporto? Voglio tornare a casa! Fingo un malore? No, ma sei scema? Torna in te e ammalialo! Su che ne sei capace! Ci manca solo che si accorga che te la stai facendo sotto! Deglutii per buttare giù il senso di inadeguatezza e poi uscii dal bagno come se niente fosse, sperando fosse pronto il tè. E invece, a quanto pareva, era lui ad essere pronto.  Mi prese tra le sue braccia con decisione, ma rispettosamente e poi si librò in volo spingendomi verso la camera da letto.  Lo seguii fiutando le sue intenzioni, sperando che tutta questa roba che mi frullava in testa non impedisse al mio corpo di prendere il volo insieme a lui. A mezza strada feci un maldestro tentativo di temporeggiare chiedendogli se lui non avrebbe preso il tè. «Manco morto, con questo caldo! Solo a te piace il tè d’estate, e il minestrone!» (risata).  Bon, ero del tutto disarmata e mi sentivo terribilmente vulnerabile.  «Se tu lo vuoi però ti aspetto.» (Che carino) feci cenno di no con la testa, guardandolo come si guarda la vetta dell’Everest quando a disposizione hai solo i tacchi a spillo.  Poi il mio cavaliere bellissimo e scintillante, prese a baciarmi voracemente.  Era così bello da farmi girare la testa, ma purtroppo questa volta il disagio non si decideva a levare le tende.  Avevo troppa paura: paura di sbagliare, paura di non essere all’altezza, paura di rischiare di perderlo e ovviamente anche tutto un altro lungo elenco di paure, ma, soprattutto, ero spaventata per aver smarrito il controllo di me e di come mi sentivo. Quindi tutto cominciò pian piano a sgretolarsi. Tentai di fingere di essere lì, presente e coinvolta, ma mi tremava la voce e nonostante i 32 gradi, sentivo freddo.  Poi, esattamente come la mia voce anche il suo letto cominciò a tremare violentemente ed allo stesso modo vibravano i muri ed oscillavano i lampadari. Le vetrate e gli specchi presero ad infrangersi e nel giro di pochi minuti, dentro di me, l’unico vero regnante divenne il caos.  Volevo scappare, mi guardai intorno cercando una via di fuga che non esisteva. I miei gesti erano meccanici, il mio atteggiamento di protezione invece che di provocazione.  Inevitabilmente lui si accorse che c’era qualcosa che non andava. «Tutto bene?»  «Sì.» replicai poco convinta. «No, non è vero.» un po’ più sincera. «Cioè sì, tutto benissimo, ma non ce la faccio. Ho bisogno di una sigaretta, e di un bicchiere di vino se possibile!» ammisi infine sconfitta. Mi scrutò per un attimo strizzando gli occhi con fare inquisitorio, poi, senza fare troppe domande si diede subito da fare per soddisfare la mia inaspettata richiesta. Dal momento che la prese molto bene mi sentii subito sollevata. Così sollevata da perdere di vista anche l’ultimo baluardo di controllo e lasciarmi sfuggire (ahi traditrice!), una lacrima ben visibile. «Sicura che vada tutto bene?? Scusami, ho fatto qualcosa di male? Forse non volevi…» chiese lui piuttosto preoccupato.  «No, no, no, volevo eccome!» mi precipitai a rassicurarlo, col moccio al naso ed i capelli scarmigliati, asciugandomi, per giunta, nel suo bel copriletto appena cambiato.  «E’ solo che…» singhiozzai «Come ho detto, mi sento…mi serve…ho bisogno…» «Va bene, tranquilla, ne parliamo dopo.» Mi sorrise dolce e lenitivo come il latte dalle tette di una madre prosperosa. Poi aggiunse: «Che bello: hai la pelle d’oca». Spiazzandomi definitivamente con un colpo di grazia ben assestato. Uff! Mi sentivo lo stomaco sulle montagne russe: su e giù e poi ancora più in alto e poi di nuovo un tuffo nell’abisso. Ormai sospettavo di essere diventata dipendente da questa alternanza adrenalinica tra ansia ed ammirazione. Mi prese per mano, delicatamente e mi accompagnò a sedermi sul divano-letto poco più in là. Avevo ancora i vestiti addosso, eppure mi sentivo nuda come mai prima d’ora. Mi porse un cuscino, cercai di afferrarlo, ma le mie mani di pasta frolla mancarono la presa. «Oh, scusa!» Lo raccolsi impacciata.  Poi lui stappò una bottiglia di pronto soccorso alcolico e me ne versò un calice.  Ricordai troppo tardi che non era educato correre subito ad ubriacarsi senza nemmeno aspettare il cin-cin. «Oh, scusa. Ehm, ti aspetto…Cin!»  Cercavo di controllare il malsano impulso a chiedere scusa ogni tre secondi, ma non mi riusciva troppo bene. Dov’erano andati a finire anni e anni di allenamento? Il controllo su di me è sempre stato il mio muscolo d’acciaio e ora invece mi sentivo debole e in pericolo come una vecchia artritica che attraversa a piedi un’autostrada!  Vuotai il mio bicchiere in un batter d’occhio e presto ne seguì un altro e poi un’altro ancora.  Il crocerossino sexy che avevo di fronte aveva colto il mio bisogno di rilassarmi e fece del suo meglio per fornirmi le migliori condizioni. Mise su un po’ di musica, e mi raccontò della sua vacanza, dall’inizio fino alla fine, soffermandosi cortesemente su ogni futile dettaglio. Fortunatamente, man mano che le bollicine scendevano, io riacquistavo gradualmente il sacro umano dono della parola, fino a quando fui nuovamente in grado, non solo di ascoltare, ma anche di sorridere e di partecipare attivamente alla conversazione.  Lui anche parlava e parlava in tutta scioltezza e faceva complimenti e battutine flirtando con me e facendomi sentire importante e corteggiata.  Si vedeva che gli era completamente passata l’insofferenza da rientro e adesso brillava davanti ai miei occhi in tutta la sua gloria. Poco a poco la mia tensione era stata sfrattata dalle sue premure e aveva lasciato spazio all’inebriante piacere di assistere ad uno spettacolo incredibile che avevo tutte le intenzioni di godermi fino in fondo.  A quel punto mi sentivo al sicuro dentro ad una bolla di fiducia in me stessa così temporanea quanto divertente da sperimentare.  Mi avvicinai al suo viso come attratta dall’ineluttabile natura magnetica che costringe il ferro ad accoppiarsi con la calamita. Lui mi schioccò un rapido bacetto, forse illudendosi di poter terminare il discorso che aveva appena cominciato.  Io lo guardai negli occhi con un’intensità che normalmente non mi sarei mai permessa di sfoggiare e in tutta risposta lui si morse il labbro facendo un mezzo cenno di no con la testa. «Non guardarmi così» supplicò.  «Come dovrei guardarti?» pensai. «Sei così bello.»  Poi il mio aitante damerino rinunciò a dare un futuro alla mezza frase che gli si era incastrata tra la trachea e l’epiglottide e si avventò su di me.  Da quando ero entrata quel giorno in quella casa, una lente d’ingrandimento si era frapposta tra me e l’esterno facendomi sentire troppo piccola per percepire tanta grandezza, ma adesso le cose erano nettamente cambiate. Adesso anche io partecipavo allo stesso fenomeno di espansione. Era come se i miei sensi si fossero dilatati per adeguarsi al contesto e per permettermi di vivere, comprendere e ricordare un’esperienza che ha del soprannaturale.  Ci baciammo lungamente assaporandoci l’un l’altra, mutualmente assorti in una specie di meditazione in cui la pelle prendeva la sua rivincita sull’intelletto. Uno dopo l’altro i vestiti si accorsero di essere d’intralcio e fuggirono via lontano, prima che qualcuno se la prendesse con loro. Giustamente.  Chissà cosa sarebbe successo dopo?  Ci sfioravamo. Forse il mondo stava per finire e noi non ne avevamo idea.  I nostri corpi danzavano uno sopra l’altro senza l’ombra di un’inibizione.  E chissà cosa era successo prima? Io per esempio non ricordavo più niente.  Il suo respiro nelle orecchie… O forse semplicemente non mi importava. Il suo collo era il bersaglio preferito dei miei baci. Non mi importava nè del prima nè del dopo.   Adesso c’era solo l’adesso ad assorbire tutti e cinque i miei sensi. In effetti anche il sesto. Poi ad un certo punto successe che Marte, Venere e pure Saturno si fermarono per un momento e noi ci guardammo negli occhi. Non feci in tempo ad accorgermene che un fuoco d’artificio fatto di un profondo senso di gratitudine partì a razzo dalla bocca del mio stomaco, mi attraversò il cuore e corse su verso l’alto, illuminandomi con la chiara percezione di essere viva e di esserne veramente felice. Esplose poi all’altezza della mia gola espandendosi all’esterno in uno spettacolare e multicolore: «Ti amo».  Galleggiavo… Che significa “Ti amo”? Credo che significhi “grazie”. Più precisamente “grazie di esistere”. Galleggiavo leggerissima e flessuosa, immersa in una panacea fatta di abbracci, di contatto, di calore. Fatta di amore.  Che meraviglia. È dunque così che funziona? Mi sono innamorata!  Grazie…Voglio restare qui per sempre.

CAPITOLO III

Ella si crucció. Nel tentativo di predire la venuta del periglio all’orizzonte, si agitava sulle zampette tremolanti volgendosi spaurita a destra e a manca. Temendo che il guaio non tardasse a pervenire, si domandava come fare per salvare la pellaccia senza l’ausilio di un’arma ben molata. Come poteva proteggersi, or ora, dalla prepotenza spietata dell’orco o dal goblin affamato?  Acerba e fragile: era priva di esperienza, oltre a mancar d’astuzia in fatto di magia. Quando infine un fruscio giunse dagli arbusti a breve distanza, la giovine sbiancó facendosela sotto.  Non era pronta. La paura ahimè è infida e scivolosa. Le risposte che ella andava investigando sgusciavano via dalla sua intelligenza unta di apprensione, prima ancora che riuscisse a formularle. Così, a corto di idee, ignuda ed in balia del panico, si volse all’unica arma che l’istinto le andava proponendo già da un pezzo.  A discapito di ciò che restava del suo calpestato onore, si gettò a terra latrando e lacrimando, le braccia avvolte in cima al capo, in protezione.  Ancora il nemico non s’era svelato e già udivi espandersi nell’aria il lamento della bella dal volto nella polvere.  Miseramente, quindi, invocò a squarciagola, il soccorso di un tale drago salvatore.  Con nostra gran sorpresa, però, accade poi, che, non  un goblin e nemmeno un orco, ma proprio “Lui” comparve sulla scena. Il maestoso drago, emerse dalla boscaglia in tutta la sua gloria scintillante.  Con pazienza si accostò alla principessa, che, ancora tutta invischiata nel suo dramma, non osava sbirciar fuori a ravvisare la sua sorte.  Il valoroso le sbuffó amichevolmente sulla chioma destandola dalla sua tragedia immaginaria. «Ooh, sei tu?» fece lei stupefatta e grandemente sollevata. «Io pensavo che…» singhiozzó asciugando i lacrimoni.  La creatura alata, dall’alto della sua saggezza, fu soave e rassicurante. Avvicinó il suo bel muso alle mani di lei e lo abbassó per lasciarsi carezzare. Le sue squame gialle rilucevano di un bagliore cangiante. Com’era bello, pensò lei, sorridendogli in un moto sincero di riconoscente gratitudine e di ammirazione. Poi il dragone scostò d’un poco gli artigli anteriori rivelando così la ragione che lo mosse, poc’anzi, ad assentarsi .  Posta tra un ruvido polpastrello ed il successivo, una boccetta colmata con un fluido luminoso, brillava di rosso rubino. Era indubbio si trattasse di una qualche magica pozione, destinata alla nostra bella, per chissà quale proposito.  Intrigata, lei la prese tra le mani e la scrutó con attenzione. Sul vetro lavorato della bottiglietta emergevano figure di uomini e figure di draghi, entrambi in movimento, come fossero intenti in una specie di sacro rituale danzato. Lui si approssimò e con il muso spinse la mano di lei, la quale reggeva l’arcano infuso. «Vuoi che io la beva?» domandò.  Leggendario. Epico. Drago. emise un verso lungo e acuto e poi sbuffò per incoraggiarla. Lei lo guardò dritto in volto, inquisitoria. Dalle calde profondità dei limpidi occhioni di lui traspariva una bontà così grandiosa che sarebbe stato arduo dubitarne. «D’accordo, vediamo… » arrossì lei, un pelo smossa dall’intensità di un tale sguardo. «Non credo mi farà male, alla fine mi hai salvato la vita». Detto fatto, stappò la boccetta e senza pensarci sù troppo a lungo, succhiò giusto un sorsetto dalla minuscola imboccatura.  L’effetto fu immediato. E, oserei dire: fu anche piuttosto eclatante!   La ragazza letteralmente esplose, con tanto di botto, scintille e scenico effetto fumo. Che bomba! Con una serie di violente convulsioni, il corpo mutante triplicò la sua altezza e moltiplicò un certo numero di volte l’ingombro della sua dimensione. Gli occhi roventi si infossarono in un volto dalle sembianze sempre più animalesche. Le fauci dilatate si ingigantirono e lunghi denti aguzzi emersero dal muso draghesco. Infine una lunga coda violacea dai sublimi riflessi color magenta e un paio di eleganti ali mitologiche emersero dalla sua schiena.  Il miracolo era completo ed assistervi fu il più grande dei privilegi. Ora potevi osservarli con riverenza, uno accanto all’altro: due arci-rarissimi emblemi di epicità e bellezza…e forza…e mitologia…e quant’altro di prodigioso ti venisse in mente di aggiungere alla descrizione. La neo draghessa si guardò gli arti e la coda ansimando sbalordita. Poi si rivolse al compagno con due occhioni strabuzzati e fuori dalle orbite. Emise quindi un suono a metà tra una protesta e una richiesta di spiegazioni piantandosi dritta in fronte a lui in pretenziosa attesa. In tutta risposta lui si voltò noncurante accennando di seguirlo. Dispiegò la sua maestosa apertura alare e con quattro balzi e quattro battiti ben assestati si alzò in volo in direzione del castello. Purtroppo non comprendo il linguaggio dei draghi, ma, se siete del mio stesso avviso, possiamo accordarci sull’interpretare il grido rabbioso che pervenì dalle profondità della gola di lei, come una specie di sonoro: «Ma vaffan****!»  Non troppo regale, sia ben chiaro, ne’ signorile, certamente, ma, se vogliamo, abbastanza giustificabile dalle circostanze alquanto straordinarie che le avevano un pelino spostato il galateo.  Perfetto. Proseguiamo. Per quanto furente per essere stata abbandonata, in un momento così, diciamo, ehm…delicato, ricordiamoci che in fondo al suo cuore principesco ella conservava una grande scorta di coraggio.  Non a caso si faceva definire: “La spavalda principessa” (per gli amici Princi-Spessa). Eh no! Adesso era arrivato il momento di dimostrare il perchè di un tale appellativo! Così si concentrò e aggrottò la fronte rugosa in un atteggiamento che nulla aveva da invidiare a quello cazzutissimo di Goku quando si tramuta in supersayan.  Prese una bella rincorsa, spalancò l’intero assetto da volo e a forza di sbattere e dimenarsi, in qualche maldestra, ma sorprendentemente efficace maniera, si sollevò da terra! Via così, verso l’alto!  Sfondò l’intricato soffitto di rami e fogliame ed emerse al di sopra della Foresta Oscura. L’invalicabile Foresta Oscura, che ora, per lei, non lo era più! Wooow! Che sensazione pazzesca di libertà e di potere!   Il mondo si allontanava progressivamente dai suoi piedi, ehm, zampe. Le cime degli alberi sempre più piccole, la carezza del vento fresco sulle squame…eccetera, eccetera. Poi lassù ritrovò lui. Sfacciatamente sospeso a mezz’aria, più glorioso e splendente del sole che brillava intenso alle sue spalle: era rimasto ad attenderla fiducioso. Lei gli si fiondò incontro ruggendo con gioia. L’adrenalina da galleggiamento aveva presto sbaragliato il disappunto di poco prima.  Ragazzi, sapeva volare! Avete presente? E ne era totalmente estasiata! Magicamente trasformata, sia fuori che dentro, la princi-draghessa, ora, si sentiva invincibile. Si librava in aria, sinuosa e leggera, sentendosi al sicuro dentro una bolla di fiducia in se stessa così temporanea quanto divertente da sperimentare.  Raggiunse il compare e lo urtò dolcemente con un colpo d’anca. Lui ricambiò scostandola a sua volta. Poi presero ad attorcigliarsi in volo in una serie di giocose giravolte che ad assistervi vi sarebbe preso un colpo al cuore tanto erano belli da guardare!  Tuttavia, impegnati com’erano a cinguettare nell’etere, quasi avevano scordato dov’erano diretti. Poi le diroccate mura del castello si presentarono al di sotto delle loro guizzanti sagome eccitate, interrompendo il corteggiamento. La vista di casa li restituì ad una realtà che disgraziatamente rinviava ancor d’un poco l’ormai scontato “e vissero felici e contenti”.  Una realtà, ahimè, piuttosto malconcia che necessitava al più presto del loro intervento! Le due onnipotenti lucertole alate, per quanto ubriache di libertà, scelsero di calarsi verso quel che restava del castello, decise ad offrire il loro soccorso. Lui fece da apri-pista e lei lo seguì. Parcheggiarono entrambi la loro scintillante carrozzeria appena al di fuori della cinta muraria, al sicuro dagli sguardi indiscreti dei curiosi. Poi accadde qualcosa di sbalorditivo (non che fosse una novità a questo punto!) La signorina “Spessa” guardó il signorino “Leggendario” compiere tre giri su se stesso. Poi lui si fermò e avvicinò il muso a quello di lei: molto vicino a quello lei e, con un’occhiata che avrebbe sciolto pure un cubo di marmo, le trafisse definitivamente il cuore.   Dopo di che fu tutto fumo, scintille e bombette scoppiettanti.  Puff! Il possente drago era scomparso. Al suo posto si distingueva un meno vigoroso, seppur avvenente cavaliere.  Perdincibacco! Chi era mai sto figo della madonna?? La principessa nitrì stupefatta, sentendosi, poi, leggermente imbarazzata, nelle sue inadatte sembianze rettiliane. Lui, vedendola arrossire se la rise un poco e poferì parola: «Coraggio fallo anche tu! Tre giri su te stessa, recitando in mente: “arci-draco-bom-biti-biti-bom-bom-pollon”». «Ok, facile!» pensò lei e subito eseguì. Seguirono i soliti preamboli scoppietanti, ma poi, dalla nebbia fumosa che si sollevò, non emerse la bella fanciulla che il mister già pregustava.  Fece capolino, invece, una rotonda gallina mezza spennacchiata e tutta indispettita!  Ops!  Suppongo, dunque (ma posso solo immaginare), che a questo giro Princi si sentisse imbarazzata come non mai, nelle sue ancor più inadeguate nuove sembianze. Il piacente, ma deluso principino si schiaffeggiò la fronte con il palmo.  «“bom-biti-biti-bom-bom-POLLON, non POLLO! Daii!»  Il principe si concesse un momentino di introspezione per ricomporsi, poi fece un bel respiro, si abbassò inginocchiandosi e si rivolse con pazienza alla gallina: «Riproviamo ok?: “arci-pullum-bom-biti-biti-bom-bom-POLLON”. Tutto chiaro?» L’intrepida pollastrella chiocciò affermativa e poi si concentrò al massimo (anche se stavolta non aveva una fronte da aggrottare come Goku).  Precisa come un compasso ruotò sul proprio asse per tre volte e poi si bloccò di colpo, guardando nel vuoto con tutta la vacua intensità che può permettersi un pollo.  Puff! Questa volta funzionò tutto quanto a dovere! Tutto benissimo…o quasi. Princi era tornata la se stessa di sempre, ma c’era ancora qualcosa che mancava! Già, le sue sembianze le erano state restituite, proprio le stesse che aveva quella mattina, dopo il terremoto…  «Orca paletta ci sarà mai in questa benedetta storia un momento in cui potrò sentirmi a mio agio??» pensò lei, coprendosi come poteva, nuovamente svergognata, nelle sue regali mutande a cuoricini. «Sei bellissima» disse lui sorridendole, del tutto noncurante del suo déshabillé. Lei lo guardò in quegli occhioni che l’avevano spinta a fare cose incredibili e vi ritrovò il nobile drago di cui si era ormai invaghita.  Inevitabilmente il disagio si fece quindi da parte lasciando finalmente spazio ad un copione molto più romantico e soddisfacente. I due si avvicinarono come attratti dall’ineluttabile natura magnetica che costringe il ferro ad accoppiarsi con la calamita. Si baciarono lungamente, assaporandosi l’un l’altra, mutualmente assorti in una specie di meditazione in cui la pelle prendeva la sua rivincita sull’intelletto. «Chi sei tu?» chiese poi lei, con l’espressione ebete di chi non ci sta capendo più una banana.  Lui sorrise: «Sono il tuo promesso sposo.»  «Chee?» (Beh, non che mi dispiaccia!)  «Proprio così. Giocavamo insieme da bambini, ma tu eri troppo piccola, forse non ricordi. Le nostre famiglie erano molto legate e così sono stato designato come successore di tuo padre: come erede al trono.» «Davveero? E io perchè non ne so nulla?!»  «Perchè sei stata tenuta all’oscuro da tutto quanto! Per colpa delle streghe!» «Eh? Per colpa di chi?»  «Le streghe, quelle maledette! Dovremo poi occuparci anche di loro! Ora ti spiego…Devi sapere che io e te siamo destinati a fare grandi cose: siamo entrambi discendenti da un lignaggio portatore di poteri straordinari, ma questo a loro non va giù!»  «Noi abbiamo poteri straordinari? Sul serio??» «Certo! Credi che chiunque possa tramutarsi in drago con un sorso di red bull?? Per la gente comune, quella, si chiama pubblicità ingannevole!» «Ah, ecco.» «Insomma, ti racconterò pian piano tutto quanto! Per il momento sono così felice di rivederti!» (E diciamocelo, anche molto compiaciuto del fatto che tu sia così gnocca!) «Beh, si, anche io sono felice di fare la tua conoscenza ahah, o di rivederti. Ma, a proposito di cose importanti: non mi hai ancora detto come ti chiami?»  «Mi chiamo Crescenzio Ottavo. Ma se vuoi puoi chiamarmi Cresce.» «Ah va bene, Cresce. Io sono Pierantonia.» «Beh si, lo so: adoro il tuo bellissimo nome.»  Insomma, stendiamo un velo pietoso e dimentichiamoci questo passaggio. Con due nomi del genere avrete capito perchè mi sono ostinata a chiamarli in qualsiasi altro modo fino ad adesso! Comunque, contenti loro…  Proseguiamo! Pierantonia detta Princi detta Spessa esigeva un bello spiegone, per tentare di capirci qualcosa in questa confusa puntata di Beautiful. Seguì, quindi, un dialogo vivace e appassionato, saltuariamente interrotto da prevedibili sbaciucchiamenti di sorta.  La nostra bella venne a sapere che al momento della scomparsa dei suoi genitori il castello era stato preso in ostaggio da una malvagia casta di streghe che pianificavano di impossessarsi dei suoi incredibili poteri.  «Maledette!» Le avevano fatto credere che i genitori le avessero proibito di uscire dal castello e che là fuori ci fossero solo pericoli. Inoltre le avevano mentito sulle sue origini. Tutto questo, ovviamente, per farla sentire il più possibile fragile e indifesa, di modo che la piccola non si allontanasse, rischiando di sfuggire al loro controllo. «Ecco perchè erano così antipatiche! Hai capito?!» L’intero villaggio, all’interno delle mura, era stato minacciato e costretto a promuovere una versione distorta della verità. Tutto si era intristito e la gente da allora rimpiangeva in silenzio i bei vecchi tempi in cui c’erano ancora il re e la regina.   «Noo, che tristezza! Poverini!» Per tutti quegli anni le streghe stavano attendendo il gran giorno in cui Princi, raggiunta la maggiore età, sarebbe stata investita del suo legittimo ruolo come regnante. Durante il sacro rito dell’incoronazione, infatti, le forze magiche che danno ordine al nostro universo si sarebbero finalmente inchinate al suo cospetto, permettendole di accedere per la prima volta ai propri grandiosi poteri.  «Che resteranno miei, state a vedere!» A quel punto, vulnerabile e inconsapevole come si erano prese premura di farla crescere, non sarebbe stato difficile derubarla di tale magico privilegio, e le perfide streghe sapevano molto bene come fare. «Ste baldracche!» In più una barriera magica aveva isolato il castello per tutti quegli anni, interrompendo qualsiasi contatto con il mondo esterno, inclusi quelli con la famiglia del nostro presunto futuro re dal cuore spezzato. «Oh noo, dobbiamo recuperare un sacco di tempo! Baciami subito!!» Lui però, come sappiamo, non era certo un poppante qualsiasi. Dentro il suo petto batteva la potente resilienza del cuore di un vero drago! Nonostante allora sembrasse impossibile uscire dallo svilente status quo, il suo temperamento degno della corona che era destinato a portare, gli aveva permesso di non arrendersi mai.  «Perchè sei un figo mai visto prima, ecco perchè!!» Aveva studiato, aveva conosciuto, aveva esplorato e alla fine aveva trovato un modo per imporre una crepa nella magica barriera che lo separava dall’altra metà del suo cuore mitologico. «Mio eroeeee!» Una maniera piuttosto brutale e rischiosa, ma indubbiamente l’unica.  «Già, a proposito, forse è il caso che ci diamo una mossa e risolviamo la situazione. Che dici?» L’incantesimo era stato scagliato quel giorno stesso, da lui, certamente, ma non era da solo.  «Ancora? Dai ho capito.» Tutte le genti dei cinque regni confinanti e tutte le creature magiche loro alleate avevano unito le proprie energie verso un comune fine superiore.  «Uuh mitico! Però forse dovremmo… » La potenza mentale che risultò dall’intenzione congiunta di migliaia di persone e creature, fu abbastanza grande da piegare l’incorruttibile corso delle forze della natura al loro volere. «Ehm..bravissimi tutti, davvero, però… » Un impetuoso terremoto ne fu il risultato. Sufficientemente violento da aprire un varco nella magica barriera, dove un regale drago coraggioso non indugiò ad infilarsi, per salvar la sua principessa. «Evvivaaa! Adesso andiamo?» «Ora sì, è arrivato il momento»  «Oh yeah! All’attacco!» Cresce tirò fuori la preziosa bottiglietta et voilà! In men che non si dica i due erano in volo, verso la piazza centrale del villaggio. Sorvolarono il castello per un po’, seguendo una serie di circonferenze aeree che permisero a tutti di notarli. Poi atterrarono, presto accolti da una numerosa folla che si adunò al loro cospetto. Tre giri su sè stessa e, con gran sbalordimento della popolazione, avvenne il solito prodigio. La principessa era tornata! «Oooh!» ed era tutta nuda!! «Uuuh!» e fino a poco fa era un fottuto drago! «Santi numiii!!» Cresce invece, non mutò aspetto. Doveva stare all’erta: le streghe sarebbero presto giunte al contrattacco. Pier – Princi – Antonia, “la Spessa” assunse un certo piglio, il più autorevole che poté e ordinò al popolo di rifugiarsi rapidamente nelle proprie abitazioni: la rivoluzione sarebbe cominciata subito! Terminato l’annuncio, ebbe appena il tempo di bere la pozione per ritornare al suo assetto da combattimento. Poi “loro” giunsero a schierarsi sulla scena. In ordine alfabetico: Alfia, Berta, Desdemona, Ermenegilda, Norberta e Ruslana. La fazione di pseudo ancelle smascherate era al completo. Si presentarono rinunciando a qualsiasi forma  di  contegno, rivelando il loro vero, orrido aspetto.  Piantarono i tacchi a terra e si disposero in linea come una fila di logori soldati che nessuno arruolerebbe. Beffarde e sbruffone com’erano, ghignarono poi  perfidamente all’unisono, come si confà alle peggiori fattucchiere dei film Disney.  La gente corse al riparo sgomberando il campo. Tutti si  prepararono alla tempesta di incantestimi che stava per scatenarsi. Princi aprì il duello. Il sorteggio aveva  segnalato che toccava a lei di cominciare. Scelse subito di azzardare una mossa sulla quale non aveva esperienza. D’altronde lei era la spavalda principessa (ci teneva ad evidenziare) ed imparava molto in fretta.  «Mi alzo in volo e carbonizzo le streghe con una fiammata epocale!» dichiarò aggressiva. Poi estrasse il suo dado da 20 rosa perlato e lo lasció cadere sul campo.  16! Niente male!  Le streghe tentarono immediatamente di castare un maleficio che facesse loro da scudo, ma ottennero solo un misero 4!  Ahi ahi come bruciacchiavano i loro ampi sederoni! Fu subito evidente che la fortuna si era schierata dalla parte migliore. Seguì un combattimento cruento, ma relativamente breve, che vide i due draghi primeggiare in un sublime gioco di squadra. Insieme, proteggendosi a vicenda e coordinando la strategia, riuscirono presto a sbaragliare i sortilegi delle avversarie a colpi di coda, artigli e  carbonella. Salvo un paio di momentanei scivoloni, la battaglia si concluse in favore della fazione draghesca, con una vittoria a dir poco schiacciante!  Le cinque brutte racchie furono quindi costrette a scappar via lontano, battendo in ritirata, con la scopa tra le gambe! «Via! Fuori dagli zebedei! Andate ad infestare il regno a qualcun altro!!» inveirono i nostri trionfanti guerrieri in direzione delle vecchie megere ormai annientate. Le genti del villaggio esultavano e applaudivano, celebrando con orgoglio  l’inconsueta ferocia della loro principessa: «Vittoria! Siamo liberi!» Il campione e la campionessa, colmi di gratitudine e di adrenalina  presero a dare spettacolo sfrecciando e volteggiando fieramente in cielo.  Da quel momento, i festeggiamenti furono aperti. L’intrattenimento ed i banchetti si protrassero per giorni. i nostri due baldi protagonisti presidiarono simbolicamente sotto forma di draghi e danzarono e cantarono in forma umana (finalmente anche con dei vestiti addosso!). Dopo anni di subdola dittatura “il bene” si era gloriosamente preso la sua rivincita. Le celebrazioni segnarono l’inizio della promettente era che si apprestava a sbocciare: un’era fiorente di libertà e prosperità. Trascorsero così due anni nella pace operosa di un regno in ricostruzione.  Pierantonia e Crescenzio Ottavo, come due veri leader, affiancarono il proprio popolo nei lavori di ristrutturazione. La loro potenza draghesca venne messa a frutto giorno dopo giorno, per trasportare materiali da costruzione e per dirigere le operazioni, da un’utile prospettiva aerea. Una volta ripristinato l’antico splendore, venne il tanto atteso momento di annunciare l’incoronazione dei due regnanti e le loro nozze. Al cospetto dell’altare nunziale i nostri amati amanti si dichiararono: «Sì, lo voglio!».  Allo stesso tempo ed all’interno della stessa cerimonia entrambi sposarono il proprio regno.  Furono solennemente incoronati dallo stesso sacerdote che li aveva appena consacrati marito e moglie. Egli depose sopra i loro capi le due corone effigi dei loro ruoli e li nominò ufficialmente: Il re Crescenzio Ottavo e la regina Pierantonia Prima di Gattoburgo. «Evviva gli sposi! Lunga vita al re e alla regina!» Mentre la folla esultava in loro onore, i due si baciarono, guardandosi, poi, lungamente negli occhi. Successe quindi che Marte, Venere e pure Saturno si fermarono e tutto il cosmo si trattenne a contemplare per un momento. La sabbia dentro all’universale clessidra del tempo rallentò la sua corsa inarrestabile. Fu come se la sua fessura di vetro fosse stata ristretta al punto da limitarne il pigro incedere; un granello alla volta.  Per un lasso di tempo di una lunghezza impossibile da definire, la sacralità, palpabile nell’aria, comandò assoluto silenzio. Le nuvole in cielo si fecero da parte in corrispondenza dell’ala Est, permettendo ad un tagliente raggio solare di trapassare la grande vetrata a mosaico della chiesa. Un bagliore caldo e colorato inondò quindi la navata come presagio della benedizione in avvenire.  La candida neo sposa ed il suo consorte, sospesi nell’avvolgente tepore di quel sacro investimento si accorsero che i loro piedi non toccavano il terreno. Erano stati magicamente sollevati a mezz’aria, momentaneamente leggeri e immateriali, come trasparenti fantasmi attraversati dalla luce. Consapevoli del dono che stavano per ricevere i due si intrecciarono in un abbraccio che li vide commuoversi. Sentirono chiaramente che stavano cambiando. Il loro aspetto non era mutato, ma le poderose energie che forgiano il creato, stavano penetrando la loro essenza, trasformandoli in semi-dei.  Poco alla volta, sempre con estrema lentezza, il loro abbraccio si sciolse e i due non ebbero scelta che di lasciarsi andare al sonno, perdendo conoscenza.  I loro intangibili corpi fluttuanti si illuminarono poi di un’accecante irradiazione azzurra. In quel momento e attraverso la grazia di quel magico splendore, i due prescelti si congiunsero alla “Fonte” per essere nutriti, per venire rafforzati.  Fu a questa maniera, proprio come tramandato, che ricevettero in concessione la loro parte di onnipotenza. Una parte alla quale, usualmente, solo gli dei avevano accesso. Erano ancora senza peso, quando si svegliarono. Rinvigoriti ed investiti di una conoscenza che andava oltre l’umana percezione, aprirono gli occhi svolazzando l’uno di fronte all’altro. Mentre il trascorrere degli istanti riprendeva il suo corso regolare, i due  corpi riacquistavano la materialità propria delle cose terrene. Le robuste braccia del novello re ritrovarono dunque il loro giusto posto intorno alla propria regina. Lei, stringendolo a sè, non fece in tempo ad accorgersene che un fuoco d’artificio fatto di un profondo senso di gratitudine partì a razzo dalla bocca del suo stomaco. Le attraversò il cuore e corse sù verso l’alto, illuminandola con la chiara percezione di essere viva e di esserne veramente felice. Esplose poi all’altezza della sua gola espandendosi all’esterno in uno spettacolare e multicolore: «Ti amo».  Galleggiava… Che significa “Ti amo”? Credo che significhi “grazie”. Più precisamente “grazie di esistere”. Galleggiava leggerissima e flessuosa, immersa in una panacea fatta di abbracci, di contatto, di calore. Fatta di amore.  Lui le sorrise compiaciuto, mentre discendevano insieme verso il terreno. Scendevano in quel momento verso la loro gente, verso il loro glorioso futuro e verso l’epoca nuova che si stava aprendo dinanzi ai loro passi: i benevoli passi portatori di pace di due divinità scese sulla Terra. Si conclude in codesta maniera la narrazione, tanto sentimentale quanto bizzarra, che abbiamo ora il permesso di sigillare con il sempre-verde: “e vissero per sempre felici e contenti.” Tuttavia, onde saziar l’interesse di chi volesse conoscere quali magici poteri furono assegnati ai nostri semi-divini eroi, ritaglierò qui sotto un trafiletto dove inserirli tutti quanti, sotto forma di elenco. La regina Pierantonia Prima ricevette il potere di:
  • lucidare l’intera argenteria del castello con un solo sguardo
  • sdoppiarsi fino a cinque cloni di se stessa, pronti a fare squadra
  • cambiare vestito a piacimento schioccando le dita
  • trattenere la pipì per tutta la notte
  • orientarsi (evitando così di perdersi come al solito)
  • svolgere correttamente calcoli matematici anche molto complessi
  • non patire il freddo
  • materializzare qualsiasi cosa con il solo pensiero
  • ricordarsi i titoli delle sue canzoni, libri, film… preferiti
   Il re Crescenzio Ottavo ricevette il potere di:
  • salare adeguatamente le pietanze 
  • rimpicciolirsi o ingigantirsi all’occorrenza
  • cambiare scarpe a piacimento schioccando le dita
  • fare canestro da centro campo con gli occhi chiusi
  • sdoppiare i calzini, ogni volta che se ne perde uno
  • teletrasportarsi viaggiando quando e dove vuole (pure a gratis!)
  • non patire il caldo
  • comprendere e parlare fluentemente qualsiasi lingua
  • convertire ogni eventuale fascista nel raggio di 50km in un proselito novello comunista